A Montemarcello ve ne era uno, tutti lo conoscevano come “Nicò er campanae” anche se di mestiere faceva il ciabattino. Erano stati campanari il nonno e il padre e lui aveva continuato volentieri la tradizione.Non so se venisse retribuito, anche perché aiutava il parroco come sagrestano.Faceva il lavoro molto bene, con una certa professionalità. Preciso e metodico infatti, un po’prima delle funzioni religiose, si sistemava con la sedia alla sommità della scaletta che conduceva al campanile,
con l’immancabile sigaro tra le labbra e il suo orologio da taschino che gli serviva per controllare i tempi delle suonate.
Le campane, lo dico per i ragazzi di oggi che non hanno avuto modo di vederle, venivano suonate tarando due corde, una saliva e l’altra scendeva e ci voleva una certa maestria perché producessero il suono voluto, che era diverso a seconda delle occasioni.
L’ultima campana era quella dell’Ave Maria che richiamava tutti alla casa e alla famiglia per la cena e per la veglia con i vicini di casa.
Per la Messa normale Nicò suonava il primo “versetto”, dopo un quarto d’ora circa il secondo ed infine i richiami (“i areciami”) per gli eventuali ritardatari. Nei pomeriggi domenicali richiamava poi i paesani ai “Vespri”.Per i funerali il tocco era più mesto e cadenzato, come del resto accade ancora oggi.Un suono di campane che è rimasto molto impresso, anche emotivamente nella mia mente, era quello ad “angioletto” che purtroppo annunciava la morte di un bambino. E non era cosa troppo insolita per quei tempi mancavano vaccinazioni, antibiotici o medicinali specifici.Alle 12 il suono della campana richiamava a casa i contadini sparsi a lavorare per i campi anche lontani dal paese.Il Venerdì alle quindici suonava “l’agonia” per ricordare la morte di Cristo e, chi voleva, si riuniva in preghiera.Nicò poi era pronto a far squillare in modo argentino e gioioso le campane nelle grandi feste, per i matrimoni o per qualsiasi avvenimento gioioso che riuniva i paesani.Suonava anche le campane “a martello” per annunciare un incendio che i bravi paesani, armati di bastoni, roncole o qualsivoglia arnese, cercavano di spegnere da soli
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Insomma il suono della campana praticamente scandiva le giornate delle persone di allora che vivevano una vita semplice: era quindi un simbolo di richiamo e anche di aggregazione sociale.Non c’era la radio, non c’era la televisione, non c’era nulla e il suono della campana li univa favorendo rapporti di amicizia e di solidarietà reciproci, forse migliori di quelli di oggi.
Il buon Nicò serviva anche a questo.
Racconto di Eura Domenichini Camilli
(tratto dal giornalino Ameglia Informa)
leggo e ascolto sempre incantata questi racconti di mia madre immergendomi per un attimo in un mondo che non esiste piu’….