Er Campanae (il campanaro)

Una figura che penso ormai non esista più, da quando ero bambina io, è quella del campanaro.

A Montemarcello ve ne era uno, tutti lo conoscevano come “Nicò er campanae” anche se di mestiere faceva il ciabattino. Erano stati campanari il nonno e il padre e lui aveva continuato volentieri la tradizione.Non so se venisse retribuito, anche perché aiutava il parroco come sagrestano.Faceva il lavoro molto bene, con una certa professionalità. Preciso e metodico infatti, un po’prima delle funzioni religiose, si sistemava con la sedia alla sommità della scaletta che conduceva al campanile,

Foto Remo Dolci

Foto Remo Dolci

Foto Remo Dolci

Foto Remo Dolci

Foto Christian Moggi

Foto Christian Moggi

 

 

 

 

 

 con l’immancabile sigaro tra le labbra e il suo orologio da taschino che gli serviva per controllare i tempi delle suonate.nico

 

Le campane, lo dico per i ragazzi di oggi che non hanno avuto modo di vederle, venivano suonate tarando due corde, una saliva e l’altra scendeva e ci voleva una certa maestria perché producessero il suono voluto, che era diverso a seconda delle occasioni.

Don Gonzales

Don Gonzales

 L’ultima campana era quella dell’Ave Maria che richiamava tutti alla casa e alla famiglia per la cena e per la veglia con i vicini di casa.

Per la Messa normale Nicò suonava il primo “versetto”, dopo un quarto d’ora circa il secondo ed infine i richiami (“i areciami”) per gli eventuali ritardatari. Nei pomeriggi domenicali richiamava poi i paesani ai “Vespri”.Per i funerali il tocco era più mesto e cadenzato, come del resto accade ancora oggi.Un suono di campane che è rimasto molto impresso, anche emotivamente nella mia mente, era quello ad “angioletto” che purtroppo annunciava la morte di un bambino. E non era cosa troppo insolita per quei tempi mancavano vaccinazioni, antibiotici o medicinali specifici.Alle 12 il suono della campana richiamava a casa i contadini sparsi a lavorare per i campi anche lontani dal paese.Il Venerdì alle quindici suonava “l’agonia” per ricordare la morte di Cristo e, chi voleva, si riuniva in preghiera.Nicò poi era pronto a far squillare in modo argentino e gioioso le campane nelle grandi feste, per i matrimoni o per qualsiasi avvenimento gioioso che riuniva i paesani.Suonava anche le campane “a martello” per annunciare un incendio che i bravi paesani, armati di bastoni, roncole o qualsivoglia arnese, cercavano di spegnere da soli

Incendio 1993

Incendio 1993

 

Incendio 1993

Incendio 1993

Dopo l'incendio Foto Remo Dolci

Dopo l'incendio Foto Remo Dolci

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Insomma il suono della campana praticamente scandiva le giornate delle persone di allora che vivevano una vita semplice: era quindi un simbolo di richiamo e anche di aggregazione sociale.Non c’era la radio, non c’era la televisione, non c’era nulla e il suono della campana li univa favorendo rapporti di amicizia e di solidarietà reciproci, forse migliori di quelli di oggi.

Il buon Nicò serviva anche a questo.

Racconto di Eura Domenichini Camilli

(tratto dal giornalino Ameglia Informa)

 

 

 

 

Una risposta a “Er Campanae (il campanaro)

  1. leggo e ascolto sempre incantata questi racconti di mia madre immergendomi per un attimo in un mondo che non esiste piu’….

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